Aspettando il picco (e sperando che non sia troppo tardi)

L’anno 2018 verrà ricordato a lungo in Portogallo: nel piccolo Paese europeo, infatti, nel marzo dell’anno scorso, tutto il fabbisogno energetico nazionale è stato coperto da fonti rinnovabili. Anzi, queste hanno prodotto il 103% dell’elettricità consumata in tutto il Paese nello stesso periodo.
Il Portogallo non è il solo Paese che ha raggiunto dei risultati così importanti: a maggio del 2017, infatti, la Scozia aveva prodotto da fonti rinnovabili una quantità di energia pari al 95% del fabbisogno nazionale nello stesso periodo. L’eolico, da solo, aveva fornito energia pari al 46% dei consumi degli scozzesi. L’Italia, che è il terzo Paese nell’Unione Europea per produzione di energia da fonti rinnovabili, a partire dal 2015, e in almeno 5 occasioni, ha prodotto una gran quantità di energia da fonti rinnovabili, pari ad almeno il 50% del fabbisogno energetico nazionale. L’Italia, insieme al Portogallo ed altri Paesi dell’Unione Europea, condivide l’obiettivo di uscire definitivamente dal carbone entro il 2025. Tra pochi anni, dunque, la fonte di energia fossile più controversa ed inquinante, ovvero il nero carbone, sarà solo un ricordo in alcuni Paesi della UE, con l’uscita definitiva di tutta l’Unione Europea dal carbone che è fissata al 2050.
Anche negli Stati Uniti d’America si stanno facendo grandi sforzi per aumentare la produzione di energia da fonti rinnovabili. Ed alcuni Stati, come il Vermont (99,6% di energia prodotta da fonti rinnovabili nel 2017) sono già praticamente interamente rinnovabili. Anche gli Stati più grandi ed importanti, a cominciare dalla California (47% dei consumi da fonti rinnovabili nel 2017), stanno facendo degli sforzi importanti per uscire dalla schiavitù delle fonti fossili.
Ed infine anche Cina e Giappone, altri grandi mercati mondiali, stanno investendo molto su risparmio, efficienza dei sistemi elettrici e sulla produzione di energia da fonti rinnovabili. Come conseguenza, già da alcuni anni, il Giappone è l’unica economia del G20 in cui il livello di emissioni di CO2 diminuisce in termini assoluti, nonostante la crescita dell’economia.
Tutto bene, dunque? Purtroppo no, perché nel 2017 e 2018 gli investimenti in fonti fossili sono tornati a superare quelli in fonti rinnovabili, a livello globale. Nel 2018 il colosso indiano dell’energia Adani, già dal 2012 proprietario di estesi terreni nel Queensland, nord dell’Australia, ha ottenuto il via libera allo sfruttamento di una immensa miniera di carbone termico che si trova appena sotto la superficie dei suoi terreni. Con questo carbone a basso costo, il colosso indiano vuole fornire energia a centinaia di milioni di indiani, australiani e bengalesi. In questo modo i destino di tre Paesi, che ospitano un quarto della popolazione mondiale, e due potenze economiche del G20, sarebbe legato per lunghi anni a venire al carbone.
Perché non riusciamo a liberarci delle fonti di energia fossile? Principalmente per motivi economici e finanziari, anche se non sono trascurabili gli ostacoli di tipo tecnico, legati soprattutto alle difficoltà di immagazzinare a lungo l’energia prodotta. E questo penalizza particolarmente le fonti energetiche rinnovabili, che hanno un andamento incostante dovuto ai fattori atmosferici. Tuttavia, con i sistemi predittivi e di controllo intelligente, con le smart grid e le nuove celle a combustibile, gli ostacoli tecnici alla diffusione delle energie rinnovabili saranno progressivamente superati.
I problemi veri restano quelli di tipo economico e finanziario. Dal punto di vista economico, ci sono interi settori che sono stati progettati e costruiti per dipendere dalle fonti fossili, come quello dell’acciaio e dell’automotive. Dunque cambiare il tipo di approvvigionamento energetico non può essere né semplice, né veloce.
Dal punto di vista finanziario, se possibile, gli ostacoli sono ancora maggiori. Molti fondi d’investimento, molti istituti finanziari e banche hanno nel loro portafogli titoli di società petrolifere o carbonifere. Gli investimenti finanziari dei Fondi Sovrani dei Paesi produttori di combustibili fossili spaziano ovunque, dall’immobiliare allo sport, dal turismo all’industria manifatturiera. Ed includono, ovviamente, banche ed istituti finanziari di ogni livello a livello globale. Infine, bisogna considerare gl’interessi nazionali: almeno 9 Paesi membri del G20 hanno rilevanti interessi nel settore delle materie prime, inclusi i combustibili fossili. Chi s’intende un po’ di mercati finanziari sa benissimo che il re dei combustibili fossili, ovvero il petrolio, influenza pesantemente il prezzo di tutte le altre materie prime. Di conseguenza anche un Paese come il Sudafrica, che produce pochissimo petrolio, ma in compenso ha tanto carbone, ferro, diamanti, oro e così via, ha interesse a mantenere alte le quotazioni del petrolio. Stesso discorso vale anche per Australia e Canada, che pure sono molto attivi sul fronte ecologico.
E tuttavia, forse, proprio l’avidità e l’egoismo dei sostenitori dei combustibili fossili può essere la causa della loro fine. Era il 1956 quando lo scienziato statunitense Marion King Hubbert pubblicò una teoria che si propone di prevedere, a partire dai dati relativi alla “storia estrattiva” di un giacimento minerario, la data di produzione massima della risorsa estratta nel giacimento, così come per un insieme di giacimenti o una intera regione. Il punto di produzione massima, oltre il quale la produzione può soltanto diminuire, viene detto “picco di Hubbert”.
Ebbene, diversi studi ci indicano che ormai siamo vicini al raggiungimento di questo famoso picco, e che la domanda di energia sta crescendo di anno in anno. L’effetto combinato di una domanda crescente, e di un’offerta che non riesce a tenerne il passo, crea lo spazio ideale per la crescita della produzione di forme di energia alternative, pulite e sostenibili. Come sono appunto quelle derivate da vento, sole ed acqua.
Il futuro dell’umanità è dunque verde e sostenibile, e nel 2019 gl’investimenti in impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili sono tornati a superare quelli in fonti fossili, esauribili ed inquinanti. In altre parole, senza futuro.

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